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Collana | Quaderni di Praxis |
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I sogni, questi visitatori notturni, vanno dal sogno più banale, pur sempre oscuro, all’incubo più sconvolgente. Il sonno è ricco di questi fantasmi della notte, che il dormiente se ne ricordi o meno. La frontiera tra sogno e incubo sembra a volte incerta e può essere facilmente oltrepassata. Il sognatore scivola allora dall’uno all’altro in affetti condivisi tra piacere fugace e dolore nostalgico. Ma allora vi è una specificità dell’incubo? È semplicemente un sogno come un altro che, nonostante di cattiva compagnia, risponderebbe alle stesse regole? Oppure è un caso limite di sogno che non avrebbe le stesse cause e non mirerebbe agli stessi obiettivi? Partendo dalla constatazione, come ha fatto Freud, che le prime esperienze oniriche dei bambini sono piuttosto dell’ordine degli incubi, Martine Menès si interessa a ciò che ne resta negli incubi successivi. E in particolare in quelli cosiddetti traumatici, che a priori sembrerebbero dipendere soltanto da fatti attuali. L’opera è scandita da racconti (sogni, incubi) rievocati nello stile poetico, che è la narrazione più prossima al discorso dell’inconscio.